Industria – Come sta l’architettura in Italia? Se la passa male?
Gianluca Peluffo – Per quello che riguarda la professione, le Istituzioni e l’Università direi in modo tragico. Il provincialismo cinico-strategico, che significa accoglimento passivo e ottuso delle mode del presente allo scopo di perseguire interessi personali, attuato da alcune realtà culturali è imbarazzante, e lo viviamo tutti i giorni noi, girando il mondo e confrontandoci e scontrandoci con colleghi stranieri guidati, accompagnati e appoggiati sempre dalle loro istituzioni, e soprattutto lo vivono i giovani studenti e architetti (ed è cosa più tragica perché proiettata in un futuro più lungo), che non hanno alcuna guida, esempio, riferimento e coscienza di che cosa sia “essere” architetti italiani e di quanto questo “significhi”. Io faccio decine di conferenze all’anno con questo unico scopo: trasmettere un esempio di generosità, fratellanza, serietà teorica e progettuale, e possibilità di costruire.
Anche forzando l’ottimismo.
Le nostre rappresentanze di categoria hanno completamente fallito nell’obiettivo di difendere l’architettura di qualità e non specialistica (la tradizione umanistico-costruttiva italiana), delegando ogni potere all’offerta economica, e accettando la presa di potere di una sorta di “sistema anglosassone de noiartri” (e torniamo al provincialismo cinico-strategico), che gestisce e controlla la costruzione, con lo scopo di umiliare la qualità architettonica (che è pericolosa non perché costosa ma perché politica), e di togliere ogni responsabilità alla parte pubblica, nella politica e nella dirigenza, anche sotto l’effetto drammatico del “terrore” del sistema giornali-giudici, che criminalizza e distrugge categorie e persone.
Industria – Tu lavori in tutto il mondo con i 5+1AA. Perché in Italia è così difficile far capire alle istituzioni che solamente attraverso la bellezza, attraverso i progetti di architettura e le nuove visioni urbane riusciremo a salvarci?
Gianluca Peluffo – Temo di averti in parte già risposto. Ma solo in parte. Provo ad articolare meglio la mia interpretazione, con l’aiuto di Luigi Zoja. I tre paesi sconfitti nella Seconda Guerra Mondiale, Italia, Germania e Giappone, avevano tentato, contemporaneamente prima della tragedia, di riunificare etica ed estetica. Lo avevano fatto in maniera completamente differente: il riferimento all’estetica dell’Impero, con le intromissioni eretiche della Modernità per l’Italia; il vernacolo, la monumentalità gigantesca e l’eleganza agghiacciante per la Germania (ricordiamo che le divise delle SA furono disegnate da Hugo Boss, uno dei primi fondatori del Partito Nazista); la rigidità assoluta dei comportamenti e della forma della fedeltà, militare e studentesca per il Giappone. La sconfitta di questo tentativo (ovviamente diversamente criminale e folle nei contenuti) è avvenuta nei fatti e nella cultura da parte degli Stati Uniti.
La conseguenza è stata il trionfo della separazione puritana fra etica (variabile, di tutti, imperniata sulla libertà dell’uomo in forma d’individualismo) ed estetica (personale, non collettiva). Questa concezione è risultata moltiplicata violentemente in questi tre Paesi. Per noi si è risolto in un rifiuto politico strategico della rappresentazione dello Stato e dell’Etica nella bellezza dell’Architettura e dell’Arte, di un rifugio dell’etica collettiva in due ideologie completamente sradicate dalla cultura politica mediterranea ed europea (una politica cattolica e una comunista), che, fallite, si sono tradotte in un individualismo sordo, cinico, triste e consumista. La previsione di Pasolini del 1974.
La generazione dei “born in the fifties” (e sto ovviamente generalizzando), e dei loro allievi-servitori è quella che ha assunto profondamente questo cinismo, tradendo i propri padri e i propri figli. Il loro americanismo puerile (il mito dei Kennedy, di Warhol, del colore della pelle di Obama), è strumentale e cieco (I care!), sono loro che guidano la nostra immagine internazionale, servile, sottosviluppata, vuota di contenuti e piena di comunicazione dilettantesca, individualista e priva di talento. E non coincide in nulla con la realtà.
Sono loro che vanno combattuti e sconfitti.
Industria – Che ne pensi di Milano e della sua nuova architettura? Possiamo parlare di città modello oppure pensi che si tratti di effimero rilancio di una cultura fashion-modaiola che ha come fulcro il bosco verticale di Stefano Boeri?
Gianluca Peluffo – Milano è la città che ci ha accolto quando eravamo un piccolo studio di provincia promettente. I Cabassi, Gianni Puglisi e altri, fra il 2001 e il 2003, prima che aprissimo lo studio a Milano nel 2005, hanno creduto in noi. Poi sono venuti altri clienti sempre di alto livello professionale, culturale e tecnico, da Sviluppo Sistema Fiera a Generali, a Italiana Costruzioni. Ad altri. Rispetto profondamente la cultura milanese dell’apertura, del lavoro, dell’europeismo.
Non posso però non osservare che è una città priva di un governo, di una volontà pubblica da decenni. Non posso non osservare che l’operazione Garibaldi Repubblica è la perfetta messa in forma di quanto descrivevo prima: un provincialismo sottosviluppato strategico e cinico. Non è un caso che, partito con un finanziamento americano, sia diventata proprietà di fondi arabi.
Architettonicamente posso accettare quello che, in fase di concorso, sembrava un assurdo e comico punto interrogativo capovolto: nello Skyline milanese la torre di Pelli ha una dignità e una presenza; non rappresenterà né il nuovo né il futuro, ma s’inserisce in un “profilo di città” internazionale.
Il bosco verticale è il perfetto e cinico risultato della generazione dei “born in the fifties” di cui parlavo prima: l’architetto di partito che prima appoggia in assemblea gli abitanti di quartiere contro la speculazione, e poi si getta nel sogno autocelebrativo della torre, costruendo una macchina comunicativa che non ha nessun rapporto fra significato e significante. Quell’edificio non è architettura, non è spazio, non è nemmeno tecnologia o sperimentazione, non è significato; è un “brand” per miliardari cinesi.
Ci voleva la sinistra italiana per passare dalla Torre Velasca al Pirellone, al “Brand”, anzi al “Blend”. L’assenza di contenuti e di etica, unita alla folle ambizione personale, crea mostri.
Credo che progettando con significato, si possa tentare di proporre alternative. Credo che sia quello che abbiamo cercato di fare per anni. E nemmeno da soli.
Certo questa casta è potente, salottiera, protetta.
E culturalmente violenta.
Industria – Se dovessi dare un voto al bosco verticale di Boeri a Milano, quanto gli daresti e perché…
Gianluca Peluffo – Tanto rumore (e domande) per nulla. Ho già detto fin troppo.
Industria – Che ne pensi della nuova Tendenza in architettura? Non credi che sia un’abile mossa pubblicitaria che rischia però di produrre solo disegni trascendenti e architetture autoreferenziali, rigide e talvolta reazionarie?
Gianluca Peluffo – Come ti dicevo i “born in the fifties” sono strategici e culturalmente violenti. Dove passano non cresce erba. E non fanno il lavoro sporco da soli. Hanno una pletora di servitori-accoliti, che lanciano nella comunicazione con strategie furbe, astute. Usare la Tendenza, il tema della Copia, in un momento in cui prevaleva la figura dell’Archistar è stata un’azione geniale: “Bambini, venite qui: noi diventiamo archistar servendo cinesi e spacciando droga culturale olandese, voi nel frattempo occupate il territorio dei giovani ambiziosi, fornendo un apparato formale furbo e facile: qualche Aldo Rossi dimenticato, qualche Ungers fotocopiato, prendete SMLXL e fate il contrario come grafica, scrivete testi complicatissimi recuperando tesi di dottorato in giro.”
E strategia. Niente di Nuovo. L’avevamo visto fare con A12, con Stalker. Qualcuno di loro ha visto poi e vissuto sulla propria pelle cosa significa nuotare sottacqua nella schiuma di chi fa surf sull’onda di mari inquinati.
Credo che Aldo Rossi meriti di meglio che un lavoro di assonometria in bianco e nero. Credo che la sua poetica personale e rivoluzionaria vada studiata profondamente evitandone ogni replica. La sua “Autobiografia Scientifica” deve insegnare quanto il mettere sul tavolo della discussione il proprio “corpo”, sia l’unica strada per la condivisione e la connessione con l’Anima collettiva. Questo è il cuore del progetto di architettura. La condivisione di un fine etico, che è la conoscenza del reale.
L’architettura è un’educazione sentimentale alla realtà.
Questa nuova Tendenza non ha nulla né del piacere né del sentimentale. È solo cinismo strategico e comunicativo. E si vede dalle poche architetture che ne scaturiscono. Sono dei piccoli mostri con le braghe corte. Culturalmente cattivi e pronti a tutto. Fanno quasi paura.
Industria – Tre architetti contemporanei sottovalutati…
Gianluca Peluffo – Rudy Ricciotti, RCR, poi non so. Metterei noi, ma ho il senso del laconico e dell’umiltà (non della modestia).
Industria – Tre architetti contemporanei sopravvalutati…
Gianluca Peluffo – Aravena, BIG, Botta.
Industria – Come grande appassionato di letteratura, di cinema, di fumetti e di musica, come vedi l’industria culturale in Italia? Come facciamo a rilanciarla?
Gianluca Peluffo – Io credo fermamente nel recupero del Rinascimento come Rivoluzione. Il Rinascimento è quanto unisce profondamente il nostro Paese. È un tentativo riuscito e straordinario di unire etica ed estetica usando il corpo fisico dell’uomo, la sua ombra, come chiave di relazione fra individuo, collettività e Dio.
Io ripartirei da lì. Dal Rapporto tra Dante e Masaccio, tra Giotto e Piero, tra Piero e Carrà, tra Piero e Burri.
tra Monteverdi e Mozart, tra Vivaldi e Bach, tra Piero e Michelucci, tra Morandi e Licini, tra Caravaggio e Fellini, tra Fellini e Crialese, tra Mantegna e Claudio Parmiggiani, tra Caravaggio e Fontana, tra Lina Bo Bardi e noi che siamo qui oggi.
Significa ripartire da Longhi e da Ragghianti. E ragionare in termini genealogici.
Significa costruire una politica culturale che leghi la nostra storia non secondo periodi storici ma secondo linee di sviluppo teorico.
E impostare una comunicazione internazionale su questo.
Corpo, Spazio, Luce, Materia, Altrove, Mito, Sogno, Anima, Città, Paesaggio, Contemporaneità.
Non é questione di risorse economiche. Ma di coscienza di chi siamo e di ciò a cui apparteniamo.
Industria – È da poco scomparsa Zaha Hadid. Come abbiamo chiesto anche a Chiara Persia (autrice Radio Rai) e Gabriele Niola (critico cinematografico di Wired), cosa pensi della sua architettura?
Gianluca Peluffo – In un mio rapido post l’ho affiancata ad Ipazia di Alessandria. Ne avevo parlato con Ernesta Caviola ed è stata una sua visione che ho condiviso e approfondito.
Non si può prescindere dal suo essere donna. Non si può prescindere dall’incredibile, folle ostinazione con la quale ha perseguito la sua idea di architettura. Si tratta di uno di quei meravigliosi percorsi autobiografici che mi interessano forse meno di altri, perché non innescano la relazione con il collettivo, ripetendosi uguali a sé stessi con determinazione.
Trovo bellissime per spazio e forza emozionale alcune sue architetture. Talvolta la difficoltà a fare “funzionare” certi edifici, o a costruire e a mantenerne altri, dimostrano i limiti di tale grande sogno egocentrico. Che io rispetto per fatica e grandezza.
Industria – Perché è così difficile, per i critici di architettura, superare la dicotomia ideologica “Bruno Zevi vs Manfredo Tafuri”? Non pensi che sia giunto il momento, per i critici, di inventarsi qualcosa di nuovo?
Gianluca Peluffo – Bruno Zevi era un marziano in Italia. Parlava di cose che non potevano interessare a chi pensava alla ricostruzione come rimozione. Parlava di Spazio e non aveva paura di affrontare Storia e Contemporaneità con uguali criteri di lettura. La libertà era il suo tema di fondo. Era un progettista di pensiero.
Per Tafuri credo il tema fosse prima di tutto ideologico marxista (una lotta “contro” la classe borghese), e quindi la sua lezione di “ineluttabile inutilità” del linguaggio architettonico rispetto a quel fine, ha creato allievi che, persa l’ideologia, hanno pensato a galleggiare nel capitalismo vincente: “tanto si perdeva comunque”.
Forse ho già detto su cosa lavorerei. Studierei:
Genealogia, Rinascimento come riavvicinamento di Etica ed Estetica. Un assoluto lavoro di “Retroguardia Rivoluzionaria”!
Industria – Letteratura e architettura. Quali libri consiglieresti a uno studente del primo anno di architettura?
Gianluca Peluffo – Robert Venturi, Complessità e contraddizioni nell’architettura, Aldo Rossi, Autobiografia scientifica, Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Hermann Hertzberger, Lezioni di Architettura, Giovanni Michelucci, Lettere a una sconosciuta, Rem Koolhaas, Delirious New York, Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Luigi Prestinenza Puglisi, This is Tomorrow. Avanguardie e architettura contemporanea, Luigi Ghirri, Paesaggio Italiano, Francois Cheng, Cinque meditazioni sulla bellezza, Zygmunt Bauman, Modus vivendi, Ferdinando Amigoni, Il modo mimetico-realistico, Georges Perec, Specie di Spazi, Roland Barthes, La camera chiara, Francois Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Federico Fellini, Fare un film, Roberto Longhi, Da Cimabue a Morandi, Ludovico Ragghianti, Arti della visione, Luigi Zoja, Giustizia e Bellezza, Remo Bodei, Le forme del bello, James Hillman, Politica della Bellezza, Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano, Jorge Luis Borges, Conversazioni americane, Robert Stevenson, Il Padiglione sulle dune, Joseph Conrad, La linea d’ombra.
Scusate l’elenco, ma la vita è lunga.
Industria – Perché l’accademia è in questo stato di agonia? Colpa dei soliti baroni oppure c’è anche un problema strutturale che non permette più all’università italiana di produrre cultura di qualità?
Gianluca Peluffo – Un tempo l’Università era il luogo che la DC, tenuta per sé la ricostruzione (i geometri) aveva lasciato al PCI (gli architetti), insieme all’urbanistica.
Finché l’Università portava anche incarichi via tessera e prestigio accademico, allora esisteva una sorta di malata connessione fra professione e università. Da 20 anni è saltato questo sistema, perché non esistono più quei partiti capaci di assicurare la distribuzione. E l’università, priva dai 20 anni precedenti di meritocrazia, aveva tradito la fiducia di regime (democratico).
La sconnessione fra Accademia e Professione è anch’essa strategica e tragica. Fra l’altro si creano figure protoumanistiche e semitecniche. Inutili al mondo e a loro stessi.
Prendiamo lezione dalla Scuola delle Arti di Helsinki che ha riunificato Arti e Architettura. Torniamo a insegnare anatomia al primo anno, e a studiare davvero che cos’è la costruzione. Anche solo cos’è un ponte termico… O dove posizionare una guaina: abbiamo decine di insegnanti di tecnologia che con la scusa della sostenibilità fanno corsi di progettazione grotteschi.
Dettagli architettonici! Cantieri! Visite a Villa Adriana e alla Chiesa sull’Autostrada!
Provi, ognuno, a decidere che cosa è capace di fare, e a insegnare quello.
Solamente quello.
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Gianluca Peluffo – Architetto, fondatore con Alfonso Femia dei 5+1AA (http://www.5piu1aa.com), team di architettura di fama internazionale che lavora in tutto il mondo. I 5+1AA affrontano il tema della contemporaneità nel rapporto tra città, territorio ed architettura, costruendo questo rapporto come messa in forma della realtà. La percezione e la trasformazione della realtà sono i cardini di una idea di architettura come corpo ed enigma, che sia realistica ed emozionale, pragmatica e sensuale, condivisibile e capace di creare stupore come meccanismo di conoscenza. Nato a Savona nel 1966 e laureatosi all’Università di Genova – Facoltà di Architettura, Gianluca Peluffo è Ricercatore presso la Facoltà di Arti, Turismo e Mercati dello IULM a Milano, dove affronta i temi del rapporto tra Architettura e Città, del ruolo dell’Architettura pubblica, della Bellezza come creazione del luogo poetico del dialogo fra differenze, del rapporto tra Architettura, Letteratura, Poesia e Arti figurative. È stato ricercatore presso l’Università di Architettura di Genova. Con i 5+1AA ha realizzato numerose architetture tra cui: il Centro visite e Antiquarium del Foro di Aquileia (UD), il Campus Universitario di Savona, il padiglione Wyler Vetta a Basilea, le Direzioni del Ministero degli Interni a Roma, il Low Emission Building di Savona, il Palazzo del Ghiaccio e dei Frigoriferi Milanesi a Milano, il Retail Park di Assago, la Villa Sottanis e il Centro espositivo di Casarza Ligure, il Blend Building e la Blend Tower per Generali Properties a Milano, la Marina residence a Cotonou (con Peia Associati), le nuove strutture direzionali di Fiera Milano, i Docks di Marsiglia, le Officine Grandi Riparazioni Ferroviarie di Torino, il Museo del Giocattolo e del Bambino a Cormano, la “Torre orizzontale” a Milano, l’ Agenzia Spaziale Italiana a Roma, lo IULM Knowledge Transfer Centre a Milano e la nuova sede di BNL/BNP Paribas a Roma.
[Foto di copertina e Intervista a cura di Marco Maria Sambo / Foto: Agenzia Spaziale Italiana, Roma – 5+1AA]
Marco Maria Sambo
Marco Maria Sambo (Roma, 1975). Architetto. Consigliere e Segretario dell'Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e provincia (Consigliere 2017-2021 / Consigliere Segretario dal 2021-in corso). Direttore editoriale di AR Magazine, AR Web, pubblicazioni OAR (2018-in corso). Coordinatore delle Commissioni Osservatorio 900 e Archivi dell’Ordine Architetti Roma (2021-in corso). Già Direttore editoriale della casa editrice Architetti Roma edizioni (2018-2021). Fondatore e nel direttivo dell'AIAC-Associazione Italiana di Architettura e Critica (2010-in corso). Componente del Comitato di Indirizzo del Dipartimento di Architettura di Roma Tre (2021-in corso). Vincitore del Premio PIDA Giornalismo 2018, Premio Internazionale Ischia Architettura, per la critica d’architettura. Ha fondato il blog di critica d’architettura industriarchitettura.it (2016). Autore di libri come “Labirinti. Da Cnosso ai videogames” (Castelvecchi Editore, 2004)* e “Contro Chi” (Castelvecchi Editore, 2005)*. Ha collaborato alla realizzazione di libri tra cui: “Bruno Zevi e la città del duemila” (RAI Eri, 2000); “Attualità di Borromini. Una lezione di Paolo Portoghesi” (Architetti Roma edizioni, 2021). Ha pubblicato saggi di architettura su numerosi libri. Ha pubblicato articoli su riviste tra cui: Abitare, Artribune, AR Magazine, AR Web, A10, Compasses, Gomorra, IQD, Il Giornale dell’Architettura, Industriarchitettura, l’Arca, MoebiusOnline-Radio24, presS/Tletter, presS/Tmagazine. Già autore e direttore di “Archi Live”, format di architettura in onda su Sky Italia-Ceramicanda TV (2011). Ha collaborato alla progettazione e realizzazione di edifici pubblici e privati. Si occupa di progettazione architettonica e urbana, design, comunicazione dell’architettura e dell’arte, storia dell’architettura del ‘900 a Roma e in Italia, editoria. *Interviste e recensioni apparse su: Rai2 (TG2 Neon libri), Rai3 (Una notte con Zeus), La7 (Omnibus), Canale5 (L’antipatico), Roma Uno. Rai-Radio3 (Radio3Suite, Fahrenheit), Rai-Radio2 (28minuti, Atlantis, Il libro oggetto, Aspettando il giorno), Radio Radicale, Radio Capital, Radio Città Futura, Radio Roma1, Radio Città del Capo. La Repubblica, La Stampa, Il Foglio (La Porta), Il Giornale, Il Venerdì di Repubblica (Bartezzaghi), Musica di Repubblica, Internazionale, Panorama, Corriere della Sera Magazine (Palombelli), Corriere della Sera Lavoro (Passerini), Exibart on paper, Casabella [Aggiornamento, marzo 2024]