David Chipperfield. Tra astrazione e pratica progettuale – di Andrea Fradegrada
È un fiume carsico, un filo rosso apparentemente invisibile quello che lega la produzione architettonica di David Chipperfield alla cultura architettonica italiana ed europea. Un substrato in cui Fidia, Leon Battista Alberti, Bramante, Gian Lorenzo Bernini, Giorgio Grassi, appaiono in esplicito rapporto dialettico tra loro.
Il tema della forma, declinato attraverso le nozioni di “astrazione” e “pratica” rappresenta la chiave di lettura tramite cui viene interpretata la trasformazione; il progetto lo strumento mediante cui attuarla.
Nel percorso di formazione dell’architetto inglese possono essere forse rintracciati tre momenti chiave, spesso corrispondenti ad altrettanti temi verificati con esiti progettuali che ne segnano il profilo culturale.
Gli anni di formazione, negli studi di Norman Foster e Richard Rogers, costituiscono il punto di partenza e di contatto con la cultura architettonica anglosassone: la pratica diviene strumento di controllo del progetto segnando al contempo una distanza critica verso alcuni esiti.
Il secondo passaggio è rappresentato dalla fondazione di David Chipperfield Architects nel 1984. Un resoconto dell’attività dello studio è contenuto nel volume “Form Matters. Questioni di forma” pubblicato nel 2010, con il chiaro intento di rendere esplicito il rapporto tra teoria e pratica, correlando brevi saggi critici su Forma, Linguaggio, Materialità e Composizione, agli esiti progettuali dei primi venticinque anni di attività dell’atelier.
Ne emerge una visione secondo cui l’architettura si nutre della dialettica tra forma e spazio, in una relazione biunivoca in cui la prima appare in rapporto con il secondo, senza che alcuno dei due prevalga sull’altro. Partendo dal celebre assunto kahniano secondo cui ogni edificio dovrebbe scoprire “quello che vuole essere” Chipperfield asserisce che “l’architetto, servendosi dei mezzi architettonici più appropriati, deve produrre un’interpretazione del programma e del contesto tale da dotare ciascun edificio di un’identità originale e familiare allo stesso tempo.” Si propone quindi una lettura secondo cui vi è una consequenzialità delle forme architettoniche, la permanenza di alcuni caratteri spaziali specifici e identitari a livello formale. La composizione diviene lo strumento mediante il quale il progetto assume identità linguistica, processo di articolazione delle parti in relazione tra loro. Il tema della storia, dapprima rifiutato dal movimento moderno, in seguito assunto come elemento fondativo dal postmodernismo, assurge a visione di rapporto tra le parti non solo del singolo edificio ma di tutto l’ambiente costruito. Il contesto fisico, sociale e storico diviene elemento di relazione per il progetto d’architettura.
Gli esiti progettuali di questi anni, con particolare evidenza nelle esperienze berlinesi, denotano un’attenzione al rapporto con la memoria, all’interpretazione dei caratteri spaziali attraverso l’astrazione e la pratica dei materiali. La ricostruzione del Neues Museum declina la storia come palinsesto della trasformazione, sottile filo che lega la ricollocazione di frammenti pervenuti a noi dal passato Stüleriano al completamento di masse murarie e volumi stereometrici e matericamente determinati.
Nel 2012 in “Common Ground”, continuità, memoria, contesto, divengono il terreno di discussione proposto nell’ambito della curatela per la tredicesima mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Un terreno condiviso in cui gli architetti sono chiamati a confrontarsi e condividere idee che stanno alla base della cultura architettonica contemporanea. “Common Ground” diviene quindi luogo di discussione condiviso e nel contempo rimando specifico allo “spazio tra le cose”, all’attenzione al contesto, alla relazione tra le parti, strumento essenziale di conoscenza del mondo, mettendo in crisi, coerentemente con il percorso di formazione e sperimentazione del curatore, azioni individuali e isolate spesso identificate con una cultura dell’immagine effimera e melliflua.
di Andrea Fradegrada
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Immagine di copertina, fonte web: http://www.baumeister.de/tag/chipperfield/
Andrea Fradegrada
Andrea Fradegrada nasce a Milano nel 1982 dove si laurea, vive, lavora. Dopo la laurea specialistica in Architettura nel 2007 presso il Politecnico di Milano inizia il suo personale percorso di ricerca sui temi della città e della forma in architettura. A partire dal 2007 inizia la propria attività professionale fondando dapprima Morfema Architects poi, nel 2013 FORM_A, gruppo di ricerca multidisciplinare insieme a Sandra Maglio, Giovanni Munafò, Simone Natoli, Valentina Celeste. La dialettica tra componente teorica e modalità operativa determina l’attività progettuale dello studio, sia in termini di incarichi pubblici e privati, dove si ottengono importanti riconoscimenti, tra cui la selezione nell’ambito Premio "Rassegna Lombarda di Architettura under 40. Nuove Proposte di architettura”, la Menzione Speciale al Concorso internazionale “E12 – La città adattabile”, che in quello accademico, con una proficua attività universitaria mediante l’insegnamento, la ricerca scientifica, la partecipazione a conferenze, seminari, workshop, la curatela di pubblicazioni e mostre.