Avremmo dovuto capire che erano i presupposti del dibattito sulla eticità dell’architettura ad essere sbagliati quando nel maggio del 2013 le emissioni di diossido di carbonio hanno raggiunto le 400 ppm, una soglia mai raggiunta prima in presenza dell’Uomo (Melis, A. 2015 / Shining Dark Cities. In Shining Dark Territories).
Eppure il fatto che oltre il 60% di emissioni sia dovuto al disegno delle nostre città, a partire dal singolo edificio, avrebbe dovuto farci dubitare dell’architettura in sé, o quanto meno di quella degli ultimi cento anni.
Fino ad oggi abbiamo cercato di tappare le falle di una barca che affonda pensando di essere dei nani sulle spalle di giganti. Abbiamo rivestito idee obsolete con multistrati di tecnologia, senza mai riflettere su un nuovo modo di navigare su questo pianeta.
Non so che aspetto avrà la città del futuro, ma so con certezza che non sarà fatta dell’architettura che conosciamo, a meno che l’autolesionismo non prevalga, corroborato da un misto di arroganza e frustrazione per aver speso inutilmente -o peggio- la propria vita professionale.
In questo contesto, nonostante la crisi economica, l’Italia anziché investire sulla propulsione delle nuove idee, come e’ avvenuto in passato, rappresenta con il suo sistema educativo universitario un baluardo della Conservazione.
Eppure è possibile individuare alcune tendenze del futuro prossimo che necessiterebbero di trovare spazio nella didattica architettonica. Tra esse il definitivo superamento dell’architettura intesa come scansione dello spazio attraverso l’uso di pieni e vuoti, una astrazione che non tiene conto delle condizioni fluidodinamiche della troposfera che oggi si presentano con una drammaticità mai conosciuta attraverso fenomeni climatici estremi.
In quel vuoto apparente abbiamo progettato città inadeguate che l’invisibile radiazione infrarossa, intrappolata dai gas serra, ha lentamente trasformato in armi di distruzione, la cui detonazione sta portando al collasso il sistema di produzione del cibo (Nature 2011, Solutions for a cultivated planet / 478 (7369), 337342 / Foley, J. A. – Ramankutty, N. – Brauman, K. A. – Cassidy, E. S. – Gerber, J. S. – Johnston, M. – Balzer, C).
È giunto il tempo dei visionari, gli unici in grado di ripensare radicalmente alle relazioni tra Umanità e habitat. Chissà, per esempio, che in futuro non si possa indossare un’architettura o abitare un vestito.
[Immagine in copertina: ©Alessandro Melis – Anphibiopolis and other Cities]
Alessandro Melis
Architetto e Professore, Direttore Cluster for Sustainable Cities, University of Portsmouth (UK), Curatore del Padiglione Italia alla Biennale Architettura di Venezia 2020. Come Professore associato ha insegnato all'Environmental Design all'Università di Auckland. A Auckland è anche direttore della Scuola di Dottorato della facoltà di Architettura e Pianificazione. Dirige inoltre il Technology Stream. In passato è stato guest professor all'Università di Arti Applicate Vienna e all'Università Anhalt - Bauhaus Dessau, e Honorary Fellow all'Università di Edimburgo. Ha tenuto conferenze a Praga, Firenze, Roma e Perugia ed è stato un key speaker al MoMA di New York (Open City Symposium 2015), all'International Forum of Architecture (China Academy of Art 2015). Ha scritto diversi libri, articoli e saggi pubblicati in Europa e negli Stati Uniti. Nel 1996 ha fondato Heliopolis 21, con sede a Pisa, Berlino e Auckland che ha all'attivo collaborazioni con Coop Himmelblau, Asymptote, Greg Lynn e Diener & Diener. H21 ha vinto più di 20 concorsi di architettura, ricevuto premi e dei suoi progetti sono stati esposti e pubblicati comprese la Biennale di Architettura e riviste internazionali come GA Documenti (Tokyo).